Paul Strand, fotografia e realtà
“Fotografare le persone è una cosa. Un’altra è portare gli altri ad interessarsi alle persone, rivelando il nucleo della loro umanità”
(Paul Strand)
Paul Strand perseguirà per tutta la vita lo scopo di osservare e riprodurre la realtà. Il suo approccio alla fotografia, basato sulla convinzione che la bellezza possa essere colta da una fotocamera senza che la realtà venga modificata, ha contribuito a rendere la fotografia una forma d'arte al pari delle altre, in grado di trovare il bello che ci circonda e di renderlo visibile. Una frase di Alfred Stieglitz, assieme al quale Strand diede vita alla corrente del modernismo, rappresenta benissimo questo modo di vedere la vita: “Nella fotografia c'è una realtà così sottile che diventa più reale della realtà”. Proprio questa sarà la traccia del suo percorso artistico.
Strand, nato a New York nel 1890, è stato assieme a Stieglitz ed Edward Weston uno dei principali esponenti della fotografia modernista. La fotografia, e in particolare quella che Stieglitz chiamava straight photography (fotografia diretta), con il modernismo diventa arte ed inizia a entrare nei musei e nelle riviste. Appena diciottenne, Strand si inserisce nel contesto fotografico proprio grazie all'aiuto di Alfred Stieglitz e altri fotografi della Galleria 291.
Da quel momento in poi, gli scatti di Strand attraverseranno America, Europa e Africa, contribuendo a creare il successo dei fotoreporter negli anni a venire. Senza l'utilizzo di particolari carte da stampa e obiettivi speciali, Strand si dedica alla rappresentazione della realtà per come è, rimanendo per tutta la vita un critico del pittorialismo. Prima di Strand e dei modernisti, la fotografia veniva spesso paragonata con disprezzo a un semplice strumento di riproduzione della realtà; ne veniva aspramente criticato il movimento meccanico e automatico, necessario per la produzione di immagini.
Quando Paul Strand nacque nel 1890, la fotografia era diventata onnipresente. Ma in qualche modo, anche se l'inventore del mezzo era un artista professionista, se le prime fotografie erano opere d'arte e innumerevoli altri artisti avevano sperimentato lo strumento, c'era ancora un pregiudizio generale tra gli accademici e le istituzioni che i fotografi fossero tecnici, non artisti. Si credeva fermamente che la fotografia non fosse arte.
Nel tentativo di rendere la fotografia un'opera comparabile con le arti maggiori, come la pittura e la scultura, il pittorialismo tentò di aggiungere manualità e senso estetico alle immagini, così da farle apparire simili a dipinti. Con Strand e il modernismo si supera velocemente questa concezione, con l'idea che la fotografia non dovesse confrontarsi sul campo delle altre arti, ma che dovesse sviluppare un'identità propria grazie alla sua principale peculiarità: la capacità di cristallizzare la realtà per come appare. C’è quindi un grande salto di qualità, ma anche un avanzamento concettuale; gli scatti non sono più composti ad arte, come se fossero dei dipinti per cui ogni dettaglio deve essere posizionati volontariamente in un certo punto. Strand scatta semplicemente ciò che accade, a volte come se le foto fossero già lì e lui dovesse solo scattare.
Per Strand la fotografia è l'arte che rende visibile l'invisibile, uno strumento conoscitivo dunque, nonché in grado di comunicare le idee, e a differenza della pittura e della scultura -che nei secoli precedenti avevano trasformato ogni soggetto umano e non umano diventando estremamente concettuali e sempre più distanti dalla realtà- in grado di fare dell'artista una guida dotata della capacità di osservare.
La fotografia di Strand fu un successo, al punto che molto presto le sue opere vennero pubblicate nella rivista Camera Work insieme alle opere di Pablo Picasso, segno che due mondi artistici estremamente differenti, la realtà per come è e la realtà divenuta cubismo, potevano vivere assieme.
Nel 1921 Paul Strand compie un altro passo nella rivoluzione del panorama fotografico mondiale mettendo le sue doti al servizio del Cinema, dove lavorò come assistente alla fotografia in numerosi film, ma anche come regista in “Manhattan”. La sua abilità nel raccontare una storia attraverso le immagini dona nuove idee e nuovo pubblico al mezzo cinematografico, rendendo sempre più centrale il ruolo dell'assistente alla fotografia negli anni a venire. Nonostante ciò, la sua passione per i viaggi e lo studio delle luci e delle forme fecero della sua carriera fotografica un processo in continua trasformazione, portandolo con le sue diapositive in bianco a nero ad affrontare temi sociali, che più di ogni altra cosa richiedevano secondo Strand un'immagine vivida della realtà, ma anche nature morte e oggetti di vita quotidiana che, in seguito al ready made di Duchamp, si erano inseriti con forza nella scena artistica occidentale.
Conclusa la Seconda guerra mondiale, gli Stati Uniti emergono come prima potenza e Paul Strand, già ben conosciuto in patria, assume notorietà globale. Al Museum of Modern Art (MoMA) di New York ottiene la sua prima mostra individuale e con Nancy Newhall pubblica il suo primo libro “Time in New England”: una raccolta di foto raffiguranti paesaggi, case e dettagli legati ad eventi del passato raccontati dal testo che accompagna le foto. Le fotografie raccontano spaccati poco noti del New England, e tuttavia messe assieme ne danno un'immagine estremamente completa. Uno dei passaggi più interessanti è la testimonianza di dodici giurati che presero parte alle condanne di Salem per stregoneria e che oramai pentiti chiedono il perdono dei vivi. In “Time in New England” la realtà diventa costituita di tanti piccoli eventi che è possibile raccontare con una serie di scatti.
Fondendosi alla letteratura nella forma del libro, la fotografia assume ulteriore indipendenza, e di questo nuovo modo di raccontare Strand è protagonista: è suo infatti il primo libro della storia della fotografia italiana, “Un paese”, pubblicato nel 1955 assieme a Cesare Zavattini, che rende omaggio al paese natale dello scrittore emiliano, Luzzara, con 88 fotografie in bianco e nero accompagnate da testi.
I suoi libri fotografici raccolgono immagini di tutto il mondo, dal vicino Messico (Paul Strand in Mexico) alla Francia (Le France de profil) fino all'Egitto (Living Egypt) e al Ghana (Ghana: an African Portrait) e fanno da preludio a un mondo ogni giorno più interconnesso, nel quale realtà da sempre distanti nello spazio e nella cultura si trovano a contatto con il progredire delle tecnologie, dell'aviazione e con l'espansione degli interessi geopolitici. In questa vistosa accelerazione della storia che caratterizzerà buona parte del Secolo Breve, la fotografia di Strand si inserisce con la funzione di ponte fra mondi diversi, e il suo obiettivo critico e accurato individua somiglianze e differenze fra i luoghi dei suoi viaggi come nessun altro.
In particolare, la raccolta di scatti messicani rivela la compassione di Strand per gli indigeni del paese. Nel 1933 fotografò con molta delicatezza gli edifici messicani, gli oggetti religiosi e le persone, celebrando il loro orgoglio, la loro dignità e la loro resistenza. Questi temi post-rivoluzionari ricorrono nel lavoro dei pittori messicani contemporanei come Diego Rivera. Inoltre, l’utilizzo di photogravures (fotoincisioni) è una chiara testimonianza della sua convinzione che il processo di fotoincisione fosse in grado di produrre risultati migliori di quelli ottenibili con la stampa fotografica.
Nato in un mondo in cui la fotografia è considerata poco più che un mezzo documentaristico, Paul Strand muore in Francia nel 1976 lasciando un mondo in cui fra le fila dei fotografi si annoverano alcuni degli artisti più famosi del ventesimo secolo, come Robert Capa, Steve McCurry ed Henri Cartier-Bresson. La fotografia e il cinema, sulle orme del modernismo, diventano il più importante mezzo di rappresentazione della realtà, conquistando musei, riviste e quotidiani. Nel novembre del 2000 il mezzo fotografico è così strettamente legato al concetto di comunicazione che viene prodotto il primo telefono in grado di scattare foto. Strand ha scoperto il vero potenziale della fotografia come il mezzo più dinamico del ventesimo secolo: non solo un accostamento di oggetti, ma una precisa attenzione alla realtà in quanto tale. Una tecnica in grado di documentare, di stupire e di commuovere; una possibilità per ognuno di raccontare la propria storia senza artefici.
Un vero genio della fotografia, troppo poco calcolato per quello che ha dato e per la tecnica che ha saputo esprimere..